STORIE
Simona e il suo guerriero sorridente Andrea
«Ciao a tutti! Io sono Andrea, vivo a Modugno – proprio come il cantante! - , ho 5 anni e mi piace tanto ridere, ma tutti sono molto seri intorno a me… sapete, i medici mi hanno detto che ho una malattia molto strana, che non mi permette di camminare. Si chiama ph, p, pe; ah, sì! Malattia di Perthes, ne avete mai sentito parlare? È una novità a casa mia, per questo la mia mamma vuole raccontarvi la mia storia». Dallo scorso dicembre Andrea lamentava dolore alla gamba sinistra a intermittenza, ma continuava a giocare, saltare, correre, andare all’asilo. A gennaio improvvisamente ha iniziato a zoppicare in modo strano, per poi tornare a camminare normalmente, non si lamentava, non piangeva e continuava a correre e saltare. Questo zoppicamento andava e veniva, era come un ospite inquietante delle nostre giornate, ma ho pensato fosse normale in un bambino come lui, che non riusciva a stare fermo nemmeno seduto sul divano. Passa il tempo e con febbraio arriva anche l’isolamento fiduciario di circa 10 gg per via di un caso di positività all’asilo, fortunatamente Andrea non ha più accennato ad alcun dolore sospetto, in cuor mio speravo che fosse passato da sé. Mi sbagliavo, il lunedì successivo dopo il tampone negativo rientra all’asilo e le maestre all’uscita mi chiedono se avessi chiamato la pediatra per capire come mai avesse ripreso a zoppicare. Cado dal pero, ma era evidente che il mio bambino zoppicava in modo pesante, come se volesse trascinare la sua gambina.
“Dove senti dolore, amore?” – gli chiedo-, ma poverino non riusciva a spiegarsi dove fosse, figuriamoci se poteva dirlo a me; così ci precipitiamo dalla pediatra, che dopo una visita accurata prescrive un’ecografia e delle analisi per escludere la sua prima ipotesi: un’artrite da batterio.
Mi sono sentita quasi fortunata ad essere riuscita a prenotare l’esame il giorno seguente, ma il peggio deve ancora arrivare. Viene riscontrato un copioso versamento non identificato, quindi mi viene suggerito di fare i raggi x e soprattutto una visita ortopedica d’urgenza. Preoccupatissima in quel momento seguo il mio istinto da mamma e chiamo il mio ortopedico di fiducia, che mi rincuora e mi fa correre al Pronto Soccorso la mattina seguente.
Di nuovo, eseguiamo analisi, visita, insomma il triàge da codice verde e arriva il momento dei raggi. Mi si gela il sangue. Il medico mi annuncia che Andrea è nella prima fase della malattia di Legg-Calvè-Perthes: la necrosi dell’osso. Ascolto le sue parole, ma mi perdo nei miei pensieri e soprattutto nella paura del futuro del mio bambino.... per via della forte infiammazione e del versamento è necessario avere un tutore, "la staffa di Thomas", che cercherà di salvargli l’anca sinistra.
Dal 18 febbraio fino ad aprile la vita di Andrea e la nostra è cambiata drasticamente, da un momento all’altro la carrozzina è entrata nella nostra routine. Poi, una piccola liberazione ce l’ha concessa il tutore, la famosa staffa di Thomas da 2.500kg ha permesso a mio figlio di rialzarsi ma sempre trascinando la sua piccola gambina con quel peso. Oggi la realtà è questa, non può più camminare da solo, né andare in bagno o correre e saltare, neccessita della mia assistenza costante. È piuttosto chiaro quanto questa “soluzione” sia un metodo conservativo obsoleto, nessuna ricerca scientifica infatti ha mai raggiunto una cura vera e propria; solo l’intervento tra circa 3/4 anni sarà l’unica scelta più sensata per restituirgli un po’ di normalità, dico un po’ perché ci saranno delle conseguenze, come la dismetria dell’arto colpito, un numero in meno di piede, artrosi giovanile, ecc...
Quello che accade in questo momento è che Andrea ha dolore, versamento e infiammazione cronici, io posso dargli solo un ibuprofene e farlo stare a riposo, oltre a garantirgli la costanza delle fisioterapie per evitare l’atrofizzarsi dei muscoli dell’arto colpito. Per ora non esiste un codice esenzione per questa malattia, pensate è stata scoperta da più di un secolo, eppure nessuno studio scientifico è mai andato avanti con risultati soddisfacenti da permettere di creare un farmaco che potesse bloccare la prima fase della malattia: un meccanismo di piccoli trombi che chiudono le arterie principali responsabili dell’apporto sanguigno che irradia la testa femorale, facendola purtroppo morire lentamente fino a frammentarsi.
Con il cuore in gola, attendo che la mia personale battaglia per il riconoscimento di un codice esenzione e delle cure fisiatriche nel SSN venga ascoltata dalle istituzioni, così che questo mio grido di dolore dalla Puglia possa raggiungere tutte le regioni, con anche un solo bimbo affetto, e tutte le famiglie ancora ignare. È abitudine comune a tanti genitori chiudersi nel proprio dolore e non riuscire parlarne, tuttavia va fatto perché niente come la parola moltiplica i ponti e abbatte i muri!!!!
Questo viaggio nella condivisione lo faremo insieme e quando ne usciremo vittoriosi un giorno e spero presto, mi auguro che mio figlio Andrea possa essere di esempio a tanti bambini e ai loro genitori.
Con affetto mamma Simona e il suo guerriero sorridente.
Giusy e le sue avventure
«Ciao a tutti amici! Mi presento, sono Giusy e sono nata il 12/08/2017. Tutto era nella norma, pesavo 2.750 kg ed ero lunga 47 cm, non male eh? C’era giusto un piccolo dettaglio che non tornava…la mia testolina era un po' più piccola del dovuto, infatti la mia circonferenza cranica era di 32,5 cm. Comunque secondo i medici io stavo bene ed ero prontissima a tornare a casa per iniziare la mia fantastica e imprevedibile vita! Quindi secondo voi i miei genitori che hanno fatto? Mi hanno portata pieni di gioia fuori dall’ospedale a conoscere la nostra famiglia, tutto bene quel che finisce bene, certo, solo che questa storia è la mia e qualcosa non è andato esattamente nel verso giusto.
Con l'aumentare dei mesi, dovete sapere che la mia mamma si è accorta che c’era qualcosa di strano. Ad esempio, non riuscivo a stare seduta, non reggevo bene la testa, non seguivo i movimenti, a volte mi assentavo, tanto per dirne un’altra, avevo delle crisi di pianto isteriche, apnea, ma per non farmi mancare niente anche una cosa comune a quasi tutti i bimbi (e anche agli adulti): il reflusso.
Diciamo che a casa mia ormai sappiamo che solo l’olio fila liscio, infatti la mia situazione verso i 7 mesi è iniziata a peggiorare e con i miei genitori siamo tornati di corsa in ospedale. Arrivati lì, i medici visitandomi, si sono accorti che c'era qualcosa di strano, la mia testolina era ancora troppo piccola e purtroppo le fontanine si erano già chiuse. Che significa? Che era tardi, nessuno se n’era accorto, neanche il mio pediatra. Improvvisamente è calato il buio intorno a me. Ricovero immediato.
Io, mamma e papà siamo rimasti in ospedale per circa un mese, le luci che ho visto più spesso sono state quelle della Tac e della Risonanza magnetica, a un certo punto ho fatto persino degli esami genetici. Una cosa più strana di me, un esame del DNA, per vedere quanto siamo diversi gli uni dagli altri. Quanto e come ero diversa io. Risultato? Sono diversa veramente, anzi sono più che diversa. Sono RARA. La mia malattia è la Microcefalia vera con microcrania (sindrome ancora poco conosciuta ad oggi), purtroppo comporta una serie di anomalie: corpo calloso assottigliato, deficit cognitivo, ritardo psicomotorio, assenza di linguaggio, ritardo globale di sviluppo, tendenza ad ipertono, iperattività, crisi di pianto inconsolabile, autolesionismo, stati di agitazione, strabismo, piede torto.
Dalla mia diagnosi è passato un po’ di tempo e io ho fatto molte cose incredibili. Oggi ho quasi 4 anni e cammino da sola da pochi mesi - finalmente ce l'ho fatta! -, non parlo ancora, ho disturbi comportamentali, soffro di autolesionismo, mamma dice che non riesco a distinguere il bene dal male, che non capisco il pericolo…in compenso, la volete sapere una cosa? Sono tanto tanto vivace e spiritosa, ma non me lo dico da sola eh! Tutti dicono che sono davvero un una piccola guerriera, combatto giorno dopo giorno, e non mi arrendo mai. Se non fossi stata proprio vivace come avrei fatto?!
La strada da percorrere sarà sicuramente lunga e impegnativa, ma sono sicura sicura sicura che con l'aiuto della mia famiglia riuscirò a realizzare i miei sogni. Intanto uno è in costruzione, per cercare di conoscere altri bimbi come me e condividere i miei progressi ho aperto questa pagina Le avventure di Giusy Una bimba "speciale". Vi aspettiamo in tanti! Con affetto Giusy e la sua mamma Sonia»
Sabin e Sabina, un guerriero e la sua mamma
Sono Sabina, mamma di Sabin, un bel bambino che il 7giugno compirà 5 anni. Ne abbiamo fatta di strada per arrivare ad oggi, Sabin è affetto da una malformazione cerebrale, chiamata polymicrogiria, una malattia rara e complessa, una tetraparesi spastico distonica, microcefalia ed encefalopatia epilettica resistente. Tutto questo quadro è dato dalla mutazione del gene de novo SCN2A, per questo nei suoi primi 9 mesi non ha dormito nel suo lettino con me e il papà, ma all’ospedale Bambino Gesù, che è divenuto la nostra seconda casa.
Ci pensate? Quei mesi sono stati quasi un anno, il primo anno di alti e bassi, in cui il nostro unico appiglio erano i medici; l’obiettivo: capire e stabilizzare Sabin. Alla fine ci sono riusciti, loro, i medici, ce l’hanno fatta. Poi, che è successo? Beh, la condizione genetica di mio figlio gli ha imposto la tracheostomia e la gastrostomia, un grave ritardo psico motorio e purtroppo l’essere ipovedente. Percepisce solo la luce, detto tra noi più di me probabilmente. La luce a suo modo lo raggiunge, questo è l’importante, e insieme a lui anche io voglio inseguirla e custodirla, in una strada buia, piuttosto in salita tra le forti crisi distoniche e la resistenza ai farmaci, indotta dalle ben 40 somministrazioni al giorno.
La sofferenza più grande? Per me è vederlo soffrire e non poter fare nulla. Purtroppo l’effetto su di lui è estremamente ridotto, anzi lo disturba, lo priva del sonno e lo rende irascibile! Pensate che oggi abbiamo somministrato Micropam, che normalmente si usa per le crisi epilettiche e fa effetto in massimo 5 minuti...invece ha iniziato a calmare Sabin solo dopo 20 minuti. Dico calmarlo, perché lo dovrebbe sedare profondamente, ma lo ha fatto addormentare dopo 4 ore.
Il dramma come per molte altre rarità è che non abbiamo una cura per la mutazione Scn2a, tutti i farmaci che usiamo sono solo per alleviare gli effetti collaterali della malattia, come le crisi epilettiche, le crisi distoniche e l’ipertono. Ci auguriamo con tutto il cuore che prima possibile potremo usufruire della cura genica, attualmente in sperimentazione in fase 1.
Se penso che nessuno anni fa credeva che Sabin potesse sopravvivere, oggi sono ancora più convinta di quanta voglia di vivere abbia, io in lui vedo il senso di tutte le mie battaglie quotidiane. La vita me la sta insegnando lui, senza saperlo. È vero, il centro del suo universo è la sua mammina, abbiamo un rapporto molto stretto, perché siamo dipendenti l’uno dell'altro - forse io da lui più di quanto creda – però volere solo il suo bene è il mio universo, per gli altri può sembrare poco, ma vi assicuro che è tanto difficile averlo! Ogni volta che c'è un problema, deve sempre sopraggiungerne un altro, oltre all'assistenza domiciliare precaria.
La nostra stabilità è sempre messa a dura prova, ma siamo vivi e anche solo per questo il nostro motto è “Alla vita și sorride sempre, nonostante tutto!?” - specie in riva al mare, dove tutti diventiamo mare-.
Federico e la RTD
Nasci così ma lo scopri solo quando si presentano i primi sintomi. Semplicemente lo ignori fino ad un momento preciso, poi cambia tutto. Nel mio caso, avevo 11-12 anni. Già prima avevo avvertito alcuni lievi sintomi: paresi facciale, qualche problema di deglutizione e di equilibrio nella camminata.
"Ciao, sono Federico, un ragazzo come tanti e rarissimo come pochi. Perché? Ho la sindrome di Brown-Vialetto-Van Laere o con il suo nome più recente la RTD, dall’inglese “Riboflavin Transporter Deficiency” (deficit del trasportatore di riboflavina). La giornata di sensibilizzazione è il 15 Novembre, promossa dalla Fondazione “Cure RTD”.
Sapete, l’universo delle malattie rare è qualcosa di paradossale e misterioso per la maggioranza delle persone: una malattia è rara nel momento in cui, statisticamente, presenta una casistica marginale all’interno della popolazione. La mia, ad esempio, è stimata in circa un caso su un milione di persone. La RTD è dovuta alla mutazione di ben tre diversi geni, responsabili delle tre forme in cui la sindrome può presentarsi. In quella di tipo 1 il gene coinvolto è SLC52A1, ma le varianti più comuni sono il tipo 2 (se il gene mutato è SLC52A2) e il tipo 3 (se il gene coinvolto è SLC52A3). Cosa fanno di tanto importante tutti questi geni? Forniscono istruzioni per produrre le proteine trasportatrici della riboflavina, ossia la vitamina B2. Niente di che, insomma. Vi pare?
In effetti le tre forme della malattia differiscono tra loro per la variazione di alcuni sintomi: della RTD di tipo 1 si conosce poco, perché finora ne è stato riportato un solo caso; la RTD di tipo 2 e di tipo 3, sebbene presentino molti sintomi sovrapponibili, sono caratterizzate da fenotipi distinti. La RTD di tipo 2, ad esempio, comporta una debolezza muscolare prevalentemente degli arti superiori e la perdita della vista dovuta ad atrofia ottica; nel caso della RTD di tipo 3, invece, la debolezza muscolare è più generalizzata, e riguarda tutto il corpo.
Vi state chiedendo come si trasmette la malattia? In modalità autosomica recessiva, quindi sì l’ho ereditata. Un individuo risulta affetto da RTD quando eredita una singola copia mutata dello stesso gene da ognuno dei suoi genitori, che invece sono soltanto portatori sani della malattia, ma la probabilità che nasca un figlio malato è solo del 25%. Non è un caso che sia proprio rarissima.
Nasci così ma lo scopri solo quando si presentano i primi sintomi. Semplicemente lo ignori fino ad un momento preciso, poi cambia tutto. Nel mio caso, avevo 11-12 anni. Già prima avevo avvertito alcuni lievi sintomi: paresi facciale, qualche problema di deglutizione e di equilibrio nella camminata. Non mi avevano causato grossi disagi e anzi erano quasi del tutto scomparsi dopo il trattamento con immunoglobulina.
Nel 2010 però iniziai a notare una certa perdita di agilità: quando giocavo a calcio con gli altri non ero più quello di prima; io insistevo a riprovare, con l’ingenuità tipica dei bambini, e nella mia mente si insinuava l’idea che forse avevo bisogno di un po’ più di allenamento. I miei genitori, preoccupati, mi iscrissero a un centro di fisioterapia.
Le mie condizioni peggiorarono ancora. Avevo quasi perso la capacità di camminare in maniera autonoma e avevo serie difficoltà nel deglutire. La situazione divenne sempre più insostenibile, finché dovetti andare in ospedale perché andai incontro ad “ab ingestis” (cibo di traverso), con tutte le conseguenze che potete immaginare.
All’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma passai momenti molto drammatici. La mia vita era a rischio perché i medici faticavano ad individuare la mia diagnosi. La situazione era già di per sé tesa, ma a darle il colpo di grazia fu una crisi respiratoria che mi costò due mesi in rianimazione, un periodo di ventilazione artificiale e la tracheostomia. Giusto per non farmi mancare niente.
Tranquilli, un lieto fine c’è. Qualche mese prima che le mie condizioni degenerassero, era stato pubblicato quello che può essere considerato il primo vero e proprio studio sulla RTD, in cui si parlava degli effetti positivi del trattamento con riboflavina. Così un medico, esperto di malattie neuromuscolari e neurodegenerative, associò la mia condizione a quella di un potenziale caso di RTD, dando inizio, tempestivamente, proprio al trattamento. Da quel momento in poi, le mie condizioni iniziarono a migliorare e il test genetico confermò che sì, ero proprio rarissimo.
Grazie alla riboflavina, ho potuto dire ciao alla ventilazione artificiale e iniziare un periodo di riabilitazione, con tanto di via libera per tornare a casa. Tutto bene quel che finisce bene? Purtroppo, il mio stato clinico si è stabilizzato su livelli accettabili, ma non sufficienti. La terapia, infatti, non è una vera e propria cura. Può stabilizzare o rallentare la progressione della malattia, ma da sola non basta, per questo vi è straordinario bisogno di aprire la strada ad altre strategie. Cosa intendo? Il trattamento mi ha aiutato tantissimo in questi 10 anni ma la malattia mi ha lasciato diversi segni: la paralisi ponto-bulbare, per cui non riesco a muovere la maggior parte dei muscoli facciali, non sorrido, non chiudo le labbra o le palpebre e non mastico senza affaticarmi; l’atrofia e le difficolta di movimento della lingua, che significano problemi di deglutizione; la mancanza di equilibrio, che mi impedisce di camminare in modo autonomo; il tono della voce totalmente assente. Di questo passo, potrei continuare all’infinito, ma credo abbiate compreso quanto la vita possa essere difficile per chi vive con patologie neurologiche come la RTD.
Il futuro è incerto per tutti, ma per noi rarissimi un po’ di più. Tuttavia, le speranze sono davvero ben fondate: basti pensare che prima non esisteva alcun trattamento in grado di arrestare i sintomi. I progressi della scienza rappresentano delle ottime ragioni per credere che un giorno la RTD, così come altre malattie genetiche del motoneurone, possa essere curata.
Negli ultimi anni, grazie ai finanziamenti della Fondazione Cure RTD, sono stati condotti diversi studi, alcuni dei quali proprio all’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, che hanno permesso di conoscere più in profondità alcuni meccanismi biochimici relativi al danneggiamento delle cellule nervose colpite. Abbiamo disperato bisogno che il mondo della ricerca approfondisca le conoscenze relative alla RTD e sviluppi nuove strategie terapeutiche da combinare con la riboflavina. Esiste solo un grande ostacolo: nel pubblico o nel privato, pochi finanziano lo studio di una malattia ultra-rara. Per me, sapete, solidarietà significa guardare insieme alla vita. Per voi?"